“Voglio trovare la mia strada”. L'emancipazione femminile dalla comunità etnico-religiosa nel cinema occidentale contemporaneo

Gli studi su media, religione e cultura e gli studi di genere soffrono di quella che Ursula King definisce double blindess: se gli studi di genere hanno affrontato raramente questioni religiose, nel campo della religione è mancata per molto tempo una prospettiva di genere. Dall’inizio degli anni Duemila le due categorie hanno cominciato ad essere indagate insieme, e allo stesso tempo l’attenzione si è spostata delle istituzioni allo studio della fede come pratica quotidiana, seguendo la stessa tendenza dell’analisi del consumo mediale. Negli ultimi anni, la religione sta inoltre subendo un processo di mediatizzazione, e un ritorno alla ribalta (o ri-pubblicazione), per cui anche la sua rappresentazione nel cinema contemporaneo sta tornando al centro di molte storie. Allo stesso tempo, l’accesso sempre maggiore di giovani donne da diversi background alla produzione cinematografica occidentale sta dando alla luce opere personali, spesso autobiografiche, che affrontano temi di genere e di attrito con i gruppi di provenienza. Il conflitto tra agency femminile e gruppo etnico-religioso in queste opere è al centro della presente ricerca, ed è individuato in due macro-categorie: sessualità e desiderio, cattività e libertà. Attraverso l’analisi di tre film e una miniserie recenti, opere prime europee e statunitensi di quattro autrici, si cerca di dimostrare come questo conflitto sia ancora un argomento rilevante che attraversa contesti diversi. In Appropriate Behavior, Shiva Baby, Mustang e Unorthodox si ritrovano commenti narrativi a tre campi di dominio patriarcale presenti trasversalmente alle culture rappresentate: la dicotomia vita pubblica/vita privata, il ruolo del rituale, il conflitto con l’Altro.